Perché il fenomeno dell’obesità,
nelle società industrializzate come la nostra, sta assumendo dimensioni
assolutamente
epidemiche? Facile, diranno in molti: si
introducono troppe calorie con gli alimenti e il dispendio di energia, per
converso,
è in costante diminuzione grazie all’innovazione
tecnologica che ha profondamente modificato le caratteristiche(e il costo
energetico) dell’attività lavorativa, degli
spostamenti, perfino dello svago. A ben guardare, però, questa risposta si
limita
a spostare il problema, che può essere
riformulato in modo più accurato: perché, in un contesto di ricchezza di
alimenti
e di scarsa necessità di “bruciare” calorie con
il movimento e l’attività fisica, tendiamo in media a ingrassare?
Molti elementi inducono a pensare che questa
tendenza sia geneticamente preordinata o, in altre parole, selezionata
dall’evoluzione. La tendenza ad accumulare
calorie sotto forma di grassi di deposito, infatti, è probabilmente una
delle
strategie scelte dall’evoluzione per aumentare le
probabilità di sopravvivere durante i periodi di carestia o i lunghi inverni
che hanno caratterizzato larga parte della storia
della nostra specie, così come la propensione dei genitori a
iperalimentare i figli: comportamenti genitoriali
orientati a somministrare al piccolo la massima quantità possibile di
calorie,
In tempi ancestrali, potevano forse contribuire a
massimizzare la probabilità del piccolo stesso di sopravvivere alle
inevitabili traversie (e restrizioni caloriche)
della vita di quei tempi.
Ma nella società moderna, nella
quale l’accesso al cibo – per i piccoli come per gli adulti – è di fatto
illimitato, questi
meccanismi ancestrali, tuttora attivi, stanno
producendo una generazione di bambini, adolescenti e adulti in sovrappeso,
se non francamente obesi. L’assetto genico
selezionato dall’evoluzione (il cosiddetto thrifty genotype o “genotipo
risparmiatore”) con lo specifico obiettivo di
salvaguardare la sopravvivenza degli individui, e per loro tramite la
specie,
assume nel mondo moderno più di una connotazione
sfavorevole: per la sua capacità di facilitare la comparsa del
sovrappeso, dell’obesità e del diabete, a loro
volta correlati al rischio di patologie cardiovascolari che, nelle stesse
società, sono ormai la prima causa di invalidità
e morte.
Che fare, in un simile scenario? Se si accetta
che la genetica non aiuta (o almeno, non aiuta molti di noi) a controllare
il
peso corporeo, diviene necessario far
riferimento, con tale obiettivo, a categorie non più biologiche ma
culturali: prendere
atto che i comportamenti, anche sul piano
dell’apporto alimentare e del movimento, non possono essere guidati dalle
sole risposte “istintuali” (per esempio
fame/sazietà,), ma devono basarsi sulla precisa conoscenza delle relazioni
tra
comportamenti, effetti biologici e salute. Non a
caso, le fasce della popolazione che meglio si difendono dal rischio
cardiovascolare sono ormai quelle più
“attrezzate” sul piano culturale: e un’efficace diffusione di queste
informazioni al
grande pubblico rimane probabilmente, in
prospettiva, lo strumento più importante per contrastare, nel prossimo
futuro,
le patologie della “società opulenta”.